Attaccamento e capacità d’amare

Attaccamento e capacità d’amare

La scelta del titolo della mia relazione è nata da una domanda: “Da dove nasce la capacità d’amare?”
Essa non è una capacità innata ma si sviluppa attraverso la relazione con il primo oggetto d’amore che è la madre.

Il buon funzionamento dell relazione contenitore- contenuto tra la madre e il bambino permette a quest’ultimo di interiorizzare delle buone esperienze e di introiettare il nutrimento di una “coppia felice”, creata da una madre capace di contenere le emozioni del bambino, deposte in lei tramite identificazione proiettiva, che costituiscono il contenuto.

La felicità, come dice il filosofo Salvatore Natoli, è data da una vita riuscita che si esprime nella forma di relazioni riuscite, (tra le quali è significativa quella del rapporto primario), relazioni che producono “bene”. Una buona relazione primaria sarà l’impronta per il futuro della nostra vita.

A differenza degli altri esseri viventi il cucciolo di uomo nasce prematuro.
L’uomo ha bisogno di anni per diventare indipendente. È incapace, rispetto a tutti gli altri cuccioli di essere autonomo e di movimento.
Anche gli uccellini che sono tra gli animali più delicati in natura non hanno bisogno del tempo di cui necessita l’essere umano per “spiccare il volo”.
Per questo si creano legami impastati di amore e di odio perché si crea attaccamento ma si è anche arrabbiati per questo.

Dal tipo di relazione che si crea con la madre e le figure significative il bambino svilupperà la capacità di relazionarsi con i compagni all’asilo, in età di latenza con i propri coetanei, con i ragazzini/e in età adolescenziale e poi con gli altri adulti in età matura.

Il bambino riceve dal rapporto con la madre quella sicurezza di base(attraverso la soddisfazione dei bisogni e la loro latenza nel tempo opportuno) che gli consente di caratterizzare in modo specifico la propria “energheia”, nel senso di essere in grado di “persistere” nella propria esistenza senza precludersi la possibilità di sperimentarsi con l’esterno(perché il bambino ha interiorizzato la costanza oggettuale della madre), esterno attraverso cui cresce e scambia relazioni.

Un bambino impara ad amare se ha ricevuto amore.

Egli, uscito dall’utero materno, subisce un trauma, quello della nascita, vivendo angosce che lo terrorizzano(il così detto “terrore senza nome” , come lo definisce Bion).
Se trova la madre che raccoglie la sua aggressività, che dà nome, significato a quello che succede, s’instaura una buona relazione.
Il bambino accoglie questa buona capacità che utilizzerà nelle relazioni con gli altri.

La prima pulsione che il bambino prova è quella di odio, non d’amore.
E’ solo nella relazione che si modifica questo istinto, che può essere bonificato.

Il bambino ha bisogno di sentirsi amato per poi avere la capacità di diventare lui “amante”.

I pazienti narcisisistici che incontro nella mia pratica clinica sono incapaci di amore:sono fissati nella posizione di essere amati perché non hanno introiettato il modello di una madre che li ha amati. E’ come se stessero sempre in attesa che qualcuno li ami.

In generale, comunque, a prescindere dal quadro diagnostico di riferimento, i pazienti, portando i loro problemi in terapia, in realtà cercano di trovare nella relazione terapeutica, il bisogno di stabilire una buona relazione, quello che non si è avuto.

Se il primo istinto del bambino è quello della rabbia(come dicono Klein , o Freud ) il malessere viene trasformato in eccitazione motoria che ha bisogno di scarica perché le sensazioni sgradevoli che il bambino prova(paura, sete, fame, sonno, buio) sono aggressive.

Quando il bambino viene al mondo piange, ha bisogno di un’altra persona che accoglie la sua rabbia. Ciò impedisce al bambino di farsi male.
Per questo il bambino crea un legame con la figura significativa che accoglie le sue cacche, i suoi pianti….
Quando c’è una madre incapace di reverie, di contenimento, di assumere l’aggressività del bambino, il bambino rimane incastrato in un nodo e penserà che da qualche parte per magia gli arriverà quel soccorso di cui ha bisogno.
Oppure riverserà l’ aggressività contro se stesso ostacolando una crescita armoniosa della sua personalità.

I sintomi che si possono verificare in mancanza di un’adeguata reverie possono essere:

  • Enuresi (che è aggressività evacuata);
  • Difficoltà nel sonno;
  • Difficoltà nell’alimentazione;
  • Nel bambino e ragazzino difficoltà di apprendimento;
  • Nell’adulto tutte le patologie legate alla depressione, le somatizzazioni, gli attacchi di panico.

Per Bion il fallimento di una relazione buona primaria produce una scarica di elementi B, grezzi, espulsi per identificazione proiettiva che non trovano un contenitore adeguato, che si esprimono attraverso allucinazioni e somatizzazioni; per Bowlby l’inibizione del pensiero e quindi agiti, si pensi a tutte le patologie legate a problemi di mentalizzazione come le sindromi border-line , per Winnicott un falso sé, nel senso che il bambino tende precocemente a svolgere da solo la funzione genitoriale mancante(il “sé custode”lo chiama Winnicott) precludendosi le opportunità di un abbandono privo di preoccupazioni alla propria esperienza.
Ricordo il caso di una donna rimasta orfana di madre a cinque anni e cresciuta in collegio che non era in grado di abbandonarsi ad un’esperienza perché aveva imparato presto ad autogovernarsi(ad esempio mangiava il cioccolato centellinando le porzioni), a fare da sé custode, perché non aveva una figura adulta che potesse farle da supervisore.

I sintomi sono la manifestazione di non avere vissuto una relazione appagante.
Questo non vuol dire che la madre deve dare tutto, ma deve essere una “madre sufficientemente buona”usando la terminologia di Winnicott, che sappia anche dare delle regole, che gli sappia anche differire il piacere nel tempo adeguato in modo tale che il bambino interiorizzi questa capacità.

Quando si diventa matti?
Quando il dolore psichico è diventato insopportabile perché non si è trovato qualcuno che ce lo abbia reso sopportabile.
Tutta questa negatività che il bambino prova deriva dalla paura della morte:con la nascita c’è la prima separazione da un’unione simbiotica e il bambino è preso da angoscia catastrofica.
La madre, a sua volta, deve sapere che quando partorisce dà la vita e la morte.
Ricordo il caso di cronaca nera di una madre in Germania che seppelliva ancora vivi i propri figli dopo la nascita perché non era in grado di tollerarne la separazione, di accettare la morte della fase simbiotica in cui era un tutt’uno con il feto.
Oppure la storia di Cogne, in cui si dice che la signora invece che essere chiamata Anna in casa veniva chiamata Bimba. Era stata mantenuta in uno stato infantile e quindi non è stata in grado di accogliere i problemi del bambino e l’ha fatto fuori.
Questi sono esempi di uccisione reale.
Ma ci sono casi di uccisione psicologica se la madre non permette di accogliere il bambino che riversa tutto il malessere su di sé; il bambino cresce male e con difficoltà di sviluppo.

In una buona relazione bisogna essere capaci di trasformare questo terrore, essere capaci di essere “snodati”.
Uno così può passare dalla condizione dell’essere amato, riesce a fare dei passi, a muoversi per diventare “amante”e perciò con la capacità di conquistare l’altro.
L’amante deve fare un lavoro, non può dare per scontato che l’altro ricambi
Nella condizione di amante devo muovermi, non posso essere impantanato in un nodo.

A questo proposito è interessante ricordare quanto dice Marcoli, psicoterapeuta svizzero.
Egli ritiene che ci siano due gravidanze una concreta , fisica e l’altra psicologica che passa dalla fase contiguo autistica in cui il bambino è un tutt’uno con la madre a quella narcisistica in cui la madre è separata ma vissuta in funzione dei propri bisogni( io ho la madre) per concludersi in quella depressiva, in cui l’altro diventa l’oggetto del desiderio e non più del bisogno.

In particolare Marcoli parla di tre nuclei o nodi attraverso cui si snoda l’evoluzione psichica:

  • originario o materno in cui il bambino pensa di essere la madre. E’ la posizione dell’amato.Tutto ciò che interferisce con questa unione simbiotica è estraneo ed escluso. Siamo in un nodo: il bambino utilizza meccanismi di difesa primitivi (attacco e fuga): è come se pensasse”chi non è con me va attaccato o evitato”.

Siamo in corrispondenza della posizione schizoparanoide della Klein, gli altri sono vissuti come estranei. (Qui c’è l’imitazione e non l’identificazione che presuppone che ci sia separazione)”ti imito per essere”. Corrisponde alla fase contiguo- autistica.
La madre in questa fase offre al bambino tempo e pazienza grazie alla buona capacità di contenimento,in una parola reverie..

Attraverso questo nodo mi sposto nel secondo nodo:

il nucleo immaginario originario che corrisponde alla fase narcisistica o fase dello specchio.
Qui c’è la fase in cui ho la madre.che è vissuta come oggetto del proprio bisogno,il narcisismo prende il posto della madre. Qui c’è identificazione introiettiva, siamo nella fase orale.
Il bambino si trova in una condizione di dipendenza . la madre è vissuta separata ma in funzione dei propri bisogni.
Non è più la posizione dell’amato ma dell’amante, è un po l’amante interiore:ho bisogno di te per amarmi

Poi arriviamo al terzo nodo:

  • il nucleo simbolico immaginario, che corrisponde alla fase depressiva, in cui il bambino accetta il terzo il simbolo e accede alla triangolazione vivendo l’esperienza del limite e dell’interdetto.

È la funzione dell’amante , il raggiungimento della fase genitale in cui c’è l’accoppiamento. L’altro diventa oggetto non più del proprio bisogno ma del proprio desiderio.
In questa fase mi devo dare da fare per conquistare l’altro. L’altro non è più l’estraneo da evitare o usare ma è l’estraneo che mi arricchisce.
Qui è in pieno la funzione dell’amante. Prima c’è incorporazione orale, fallica, qui c’è relazione contenitore – contenuto, per dirla con le parole di Bion, il riconoscimento della differenza.

La massimizzazione del piacere, dice Natoli, si ha quando ti metti nella dimensione dell’altro, ti metti nella dimensione del piacere dell’altro.
Il massimo del piacere lo provi se scateni piacere. In questo modo solleciti nell’altro la donazione.
Ciò che è fondamentale è la disposizione verso l’altro, con la consapevolezza di avere una propria identità ma con l’ apertura e curiosità verso l’altro.
Non è il piacere ovvio che dà felicità ma la capacità di vivere le latenze, di trovare la capacità di attesa, di desiderio. La figura del Don Giovanni, ad esempio, è incapace di differire il piacere :vuole possedere tutto per possedere il nulla, la sua patologia sta nel cercare l’assolutezza del momento per poi essere insoddisfatto depresso e ricercarne un altro che l’appaghi di nuovo. E’anche il malessere della società contemporanea che provocando consumo continuo produce depressione.

Ciò che dà felicità è l’espandersi della propria soggettività verso l’esterno, verso la differenza, è vivere la posizione genitale.
E’ il sentimento di mancanza della posizione genitale , che ci porta a cercare l’altro, a desiderarlo per completarci.

L’importante nel vivere le relazioni è essere snodati, snodarsi. Alcuni si bloccano su alcuni nodi perché non sono riusciti ad andare oltre.
Sono le carenze vissute nelle relazioni significative che producono delle difficoltà di relazione e amore.
Il lavoro terapeutico consente di comprendere in quale nodo si è incistati per poi riprendere il cammino e arricchire la propria esistenza di relazioni più significative.

Per concludere, questa serata non ha la pretesa di dare una lettura esaustiva sull’argomento ma ha voluto solo dare un assaggio su questo tema così vasto.

E siccome abbiamo visto che gli affetti si muovono nella relazione, vediamo un pò qui cosa si vive, vediamo qui e ora di fare uno scambio. Certo è più facile essere amato, essere nutrito ma vediamo di metterci in moto.

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