Scuola e pandemia: come la vivono i nostri ragazzi?

Scuola e pandemia: come la vivono i nostri ragazzi?

Nel contesto scolastico gli studenti da sempre si confrontano con numerose preoccupazioni tra le quali il rapporto con   gli insegnanti, i pari, le ansie da prestazione per compiti in classe e interrogazioni, la gestione dello stress per l’impegno mentale quotidiano, le incertezze che riguardano il proprio carattere e le proprie risorse di socializzazione.

A queste oggi si aggiunge quella della pandemia: negli ultimi mesi si sente infatti spesso parlare di fobia dell’andare a scuola, soprattutto per chi teme di essere contagiato, visto che sono sempre più numerose   le scuole che decidono di chiudere i battenti e riprendere la didattica a distanza.

È stata forse proprio la riapertura delle scuole che ha scatenato una serie di paure, non solo negli studenti, ma anche nei docenti e genitori.

La fobia da contagio si aggiunge alle già note ansie che spesso costringono i ragazzi o i bambini a rifiutare la frequenza della scuola, che comunque nella maggior parte dei casi si risolve con una buona psicoterapia e la collaborazione dei genitori alla cura.

In particolare gli adolescenti che sono colpiti dalla paura della scuola spesso, dopo aver abbandonato la frequenza, si rintanano nella propria stanza e rifiutano le uscite per vedere amici, per le esigenze personali o per altri motivi, passando intere giornate tra social e videogiochi. Se l’isolamento è prolungato possono sviluppare una vera e propria patologia nota come “sindrome Hikkimori” che in giapponese significa “stare in disparte”, già diffusa prima del Covid e che la situazione attuale di restrizione sociale ha amplificato.

I genitori spesso si sentono frustrati per questo inspiegabile comportamento dei figli e tutti gli sforzi per aiutarli a recuperare la frequenza scolastica o anche semplicemente convincere il figlio a svolgere altre attività si rivelano degli insuccessi.

Nelle situazioni peggiori i genitori rappresentano perfino un elemento di disturbo per il soggetto colpito da fobia della scuola. È superfluo dire che gran parte dei soggetti che presentano i comportamenti più gravi non soffrono della mancanza della scuola, né della presenza dei propri compagni.

Spesso le relazioni del soggetto con il resto del mondo avvengono tramite social, messaggistica e internet, modalità che, se utilizzate in modo equilibrato, possono ampliare le capacità di socializzazione, mentre   in un soggetto che rifiuta la presenza fisica di altri possono provocare un maggiore allontanamento dal mondo reale e relegare a quello virtuale.

Questo comportamento potrebbe derivare da un conflitto che la persona vive internamente: la repulsione delle interazioni fisiche e reali ma la contemporanea esigenza di stabilire dei contatti con gli altri, sfruttando uno strumento che consente di essere in contatto con tutti nella propria solitudine.

La fobia della scuola ha trovato nella pandemia un luogo dove poter affondare le sue radici e colpire un numero maggiore di soggetti, complice la solitudine, la vita sedentaria e l’impossibilità d’incontrarsi o di frequentare luoghi pubblici in cui potersi distrarre e confrontarsi.

Tuttavia, la fobia scolastica con conseguente abbandono della frequenza, non sfocia sempre in casi d’isteria collettiva e ciò dipende da diversi fattori come l’ambiente familiare e il carattere del soggetto.

La durata del sintomo inoltre è variabile e può durare da qualche giorno a qualche settimana oppure mesi.

Qualunque sia il caso o il livello di fobia, un buon percorso terapeutico deve sempre essere portato avanti nel rispetto delle possibilità emancipative  del soggetto e della sua motivazione  a voler uscire dalla prigione che egli stesso ha costruito.

Anche il comportamento di docenti e dirigenti scolastici svolge un ruolo importante nel percorso terapeutico della fobia scolastica. Tuttavia spesso nella realtà dei fatti questi ultimi non sanno come comportarsi e si concentrano maggiormente sulla perdita o l’abbandono del percorso scolastico da parte dello studente.

I docenti che si trovano spiazzati da tali comportamenti sono impreparati nella gestione del problema e le loro conoscenze e competenze professionali non sono sufficienti per aiutare un soggetto che di solito non esprime un problema specifico con i singoli compagni o docenti, ma piuttosto è prigioniero di un’avversità, all’apparenza immotivata, nei confronti della scuola in generale.

Spesso anzi verso i docenti viene mantenuta sempre la stessa stima o simpatia. È nei confronti della scuola in quanto ”ambiente” o verso un gruppo di compagni che si crea la fobia.

Tuttavia in tempi di pandemia si vivono situazioni paradossali, che sono l’una l’opposto dell’altro, ossia da una parte, si hanno studenti, soprattutto in età adolescenziale, che si rifiutano di frequentare la scuola per la paura del contagio dato dalla frequenza  con i compagni, dallo stare seduti all’interno della stessa classe e dal frequentare per diverse ore gli stessi ambienti; dall’altra, gli stessi soggetti soffrono la costrizione del dover rinchiudersi in casa senza poter frequentare amici, coetanei e luoghi di ritrovo.

Tale contrasto dà origine a comportamenti paradossali ma perfettamente normali, poiché esprime ciò che è il pensiero generico di un giovane, il quale farebbe volentieri a meno della scuola ma non rinuncerebbe mai a divertimento, amici e vita ”libera” da ogni costrizione.

Questi comportamenti possono sfociare in situazioni negative o perfino pericolose poiché non solo lo studente potrebbe utilizzare la leva della pandemia per nutrire la sua voglia di non frequentare  la scuola ed essere libero invece di vivere nel modo in cui vorrebbe, libero da impegni e doveri, ma al tempo stesso potrebbe diventare veicolo di trasmissione, diffusione e presenza  di nuovi contagi , vista l’attività sociale che in ogni caso continua a esistere anche al di fuori della scuola.

Ciò contribuisce all’ aumento di nuovi casi di contagio che cresce ogni giorno e che sta diventando causa di nuove paure e motivo di chiusura, non solo in termini di confini fisici ma anche caratteriali a personali.

Solo un comportamento coerente di responsabilità collettiva consentirà di superare questa situazione di emergenza e di utilizzarla come occasione di crescita.

In questo modo ci predisporremo al futuro con il seme prezioso di un sacrificio da parte di tutti ma soprattutto dei giovani che oggi si confrontano necessariamente con il “valore sacro della vita”, fatta anche di morte, dolore, altruismo e fratellanza e si preparano in modo più consapevole e meno spaventato al mondo degli adulti.

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